31 ottobre 2008

 

CPI: Kirsch all'ONU


Polemiche
. Il presidente Kirsch all'Onu: serve una nuova spinta

Ma a che serve L'Aja?
Troppo forte l'ostilità degli Stati alla Corte.
Ecco i casi su cui indaga oggi l'ICC



Un grido di dolore per il Continente nero e per avere le mani legate. Lo ha lanciato ieri, a dieci anni dall'adozione e a sei dalla sua entrata in vigore, il Presidente della Corte Penale Internazionale, il giudice canadese Philippe Kirsch, che ha fatto il punto della situazione presentando il quarto rapporto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un lento ma stabile percorso è quello che prevede il Presidente Kirsch, che ha ricordato anche il forte legame con l’ONU nel 60mo anniversario della Convenzione sul Genocidio e della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, pur ribadendo l’autonomia dei due organismi internazionali. Lungaggini nei processi, importanza della partecipazione – spesso scarsa – delle vittime nei procedimenti e soprattutto la necessità di rafforzare la cooperazione con le Nazioni Unite, in particolare per quanto riguarda le ratifiche dello Statuto, e l’azione diplomatica con i vari governi per garantire l’effettiva azione della Corte.

Questi i punti principali del discorso di ieri del giudice Kirsch all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. “In primo luogo – ha affermato – la ratifica dello Statuto di Roma inciderà in modo determinante nell’esercizio effettivo della giurisdizione della Corte”. Affinché si possa parlare veramente di una Corte mondiale “e la sua azione possa essere veramente globale, è necessario – ha sottolineato il giudice canadese - che vi sia una ratifica universale” dello Statuto. Il Presidente Kirsch ha insomma rilanciato l’azione dei governi e della società civile, che tanti sforzi ha compiuto per la realizzazione di quella che sembrava a molti una vera a propria utopia. Gli stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma al momento sono 108, quindi quasi il doppio del necessario per l’entrata in vigore dello Statuto, ma rimangono i grandi assenti: ovvero i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Cina, Russia e Stati Uniti. Altri grandi assenti sono la stragrande maggioranza dei Paesi arabi, Israele, molti paesi Asiatici e alcuni paesi africani, tra cui il Sudan in cui sono attualmente in corso delle indagini. Il rilancio di una campagna di ratifica dello Statuto di Roma sembra al Presidente Kirsch una conditio sine qua non per garantire l’esistenza e il corretto funzionamento della Corte, che al momento non sta certamente lavorando a pieno ritmo. I processi vanno a rilento, ha spiegato, e uno dei problemi fondamentali è la impossibilità della Corte di spiccare e far rispettare i mandati di arresto. “La Corte continuerà a richiedere la cooperazione degli Stati, delle organizzazioni internazionali e della società civile. Gli obblighi legali di cooperazione devono essere rispettati e uno sforzo ulteriore sarà necessario. È più che ovvio – ha proseguito Kirsch nel suo discorso all’Assemblea Generale – che gli Stati devono eseguire i mandati di arresto o sostenere l’azione affinché tali mandati siano resi effettivi in base allo Statuto di Roma e ai loro obblighi internazionali”.

Una delle preoccupazioni maggiori del Presidente della CPI è la protezione delle vittime, che per la prima volta nel diritto penale internazionale, sono al centro del dibattimento e dell’azione legale. Le vittime di crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra possono costituirsi parte lesa nei processi, a differenza dei tribunali ad hoc, e chiedere un risarcimento che viene generalmente amministrato da un Trust Fund. In altre parole se non c’è pace senza giustizia, non c’è neanche pace senza riconciliazione e un forte lavoro nei territori interessati dall’azione della Corte per ridare alle vittime dignità e un sostegno concreto. Azione che ovviamente deve essere portata avanti di concerto con le Agenzie internazionali. “La creazione della CPI nel 1998 –ha affermato Kirsch – era fondata sul principio e sulla convinzione che giustizia e pace sono complementari. Il mandato della Corte e la sua indipendenza devono pertanto essere riaffermati e rispettati, in particolare quando le circostanze appaiono complesse”.

Il Presidente ha inoltre ricordato che “alcune affermazioni o il silenzio (degli Stati, ndr) possono generare delle convinzioni errate, e far dimenticare il ruolo di organo puramente giudiziario della Corte”. Lasciando da parte le polemiche, che sembrano anche interne, Philippe Kirsch ha ribadito l’importanza del rapporto con l’ONU chiedendone un rafforzamento e ha messo in luce che “nel decimo anniversario dello Statuto di Roma celebriamo anche l’adozione di due testi fondamentali per la legalità e il diritto: la Convenzione sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio e la Dichiarazione universale dei diritti umani”.

I CASI

REPUBBLICA CENTRAFRICANA

Indagini cominciate il 22 maggio 2007, in seguito a segnalazione ufficiale (referral) da parte dello Stato Parte il 22 Dicembre 2004. Il 23 maggio 2008 la Terza Camera preliminare ha spiccato il mandato di arresto nei confronti di Jen-Pierre Bemba Gombo, che è stato arrestato dalle autorità belghe il 10 giugno 2008. Bemba è accusato di aver commesso crimini contro l’umanità (due capi di imputazione, tra cui stupro e tortura) e crimini di guerra (quattro capi di imputazione). L’imputato è accusato di essere stato il capo del Mouvement de libération du Congo (MLC) che, durante il conflitto tra il 25 ottobre 2002 e il 15 marzo 2003, si è macchiato di crimini contro la popolazione civile.
In particolare la Corte Preliminare ha concluso che Bemba potrebbe essere responsabile dei crimini commessi nella regione in quanto era de facto e de jure a capo delle milizie accusate di aver stuprato donne e bambini, ucciso civili, dato alle fiamme abitazioni e commesso ogni genere di atrocità nei confronti della popolazione inerme.

Il 4 novembre prossimo Bemba apparirà per la conferma delle accuse di fronte alla Terza Camera preliminare e il processo potrà avere inizio. L’indagine si è focalizzata sul periodo 2002-2003 ma il Procuratore Capo sta al momento indagando anche sui presunti crimini commessi a partire dalla fine del 2005.
Le violenze contro i civili, si legge nel documento presentato alle Nazioni Unite, "Sono state pianificate e perpetrate in maniera sistematica dal Movimento". Le indagini sono ancora in corso.

UGANDA DEL NORD
Indagine cominciata il 29 luglio 2004 in seguito a segnalazione ufficiale (referral) da parte del governo dell’Uganda del gennaio dello stesso anno. Il 14 ottobre 2005 vengono spiccati i mandati di arresto per Joseph Kony, Vincent Otti, Okot Odhiambo, Dominic Ongwen, e Raska Lukwiya, considerati i capi del Lord’s Resistance Army (LRA). Dopo l’annuncio, successivamente smentito, della morte di Dominic Ongwen, la CPI ha constatato la morte di Raska Lukwiya e sta verificando l’effettivo decesso di Vincent Otti. Il Procuratore Capo ha annunciato alla Camera preliminare che oltre alla battaglia contro i presunti criminali, in questo caso la Corte dell'Aja "deve confrontarsi con il Fato". La Seconda Camera Preliminare monitora costantemente la situazione dei mandati di arresto che sono stati spiccati in Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Sudan. La pressoché assenta azione giudiziaria però è compensata da un’intensa azione investigativa.

Il Procuratore Capo continua le indagini a carico dei capi del LRA, in particolare con l’inasprirsi della situazione nella regione, dopo l’occupazione del Parco Nazionale di Garamba e i continui attacchi alla popolazione civile. Il Lord’s Resistance Army sta allargando le proprie operazioni anche nelle circostanti Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Sudan. Attualmente, però, si devono fare i conti con la mancanza di un qualunque arresto di peso nei confronti dei ribelli, nonostante una "soddisfacente" cooperazione da parte del governo e delle altre organizzazioni coinvolte.
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Casi della Repubblica Democratica del Congo – Le indagini sono iniziate il 23 giugno del 2004 in seguito alle segnalazioni ufficiali (referral) dallo Stato Parte del 19 giugno dello stesso anno. Processo a Thomas Lubanga Dyilo, presunto capo dell’Union des Patriotes Congolais pour la Reconciliation et la Paix e comandante in capo del braccio armato delle milizie; accusato di crimini contro l’umanità e di aver utilizzato bambini al di sotto dei 15 anni come soldati. Il procedimento è attualmente fermo e Lubanga detenuto in attesa di processo perché non si è rischiato di non poter celebrare un giusto processo, in quanto il Procuratore Capo non ha rivelato delle informazioni che avrebbero potuto essere di utilità alla difesa per la discolpa dell’accusato. Processo congiunto a Germain Katanga e Mathieu Ngudjolo Chui la camera preliminare ha confermato le accuse di crimini contro l’umanità , tra cui omicidio, riduzione in schiavitù sessuale nel villaggio di Bogoro e nella regione dell’Ituri.

Non ancora cominciato il processo contro Bosco Ntaganda anche conosciuto come Terminator, accusato di crimini di guerra ai danni di bambini al di sotto dei 15 anni: mandato di arresto confermato e reso pubblico, il processo non è ancora cominciato. Nel frattempo la Corte sta decidendo come operare per il prossimo futuro e quali casi prendere in considerazione. Come sempre, recita il rapporto di ieri, "si prenderanno in maggiore considerazione i casi che riguardano le violenze contro la popolazione. Abbiamo intenzione di prendere i responsabili di questi crimini".

DARFUR (SUDAN)
La situazione in Darfur è stata segnalata all’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la Risoluzione 1593 (2005) del 31 marzo 2005 passata con undici voti e quattro astensioni , tra cui Cina e Stati Uniti, che hanno rinunciato ad esercitare il diritto di veto. La referral del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato il frutto di un grande lavoro diplomatico e rappresenta il primo atto ufficiale da parte dell’ONU nei confronti della Corte. IL 25 aprile 2007 la Prima Camera Preliminare ha spiccato il mandato di arresto nei confronti di Ahmad Muhammad Harun e Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman (“Ali Kushayb”). Il Procuratore Capo ha richiesto di spiccare il mandato di arresto nei confronti del presidente sudanese Omar Hassan Ahmad Al-Bashir, sospettato di essere responsabile di crimini contro l’umanità, genocidio, e crimini di guerra.

Nel 2006 la Camera preliminare ha chiesto delle relazioni e pareri all’Alto Commissario per i Diritti Umani, Louise Arbour (ex procuratore capo del Tribunale Penale per la ex Jugoslavia) e ad Antonio Cassese, a capo della Commissione internazionale per le indagini in Darfur, Sudan ed ex presidente del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia. Con la decisione della Corte Preliminare del 15 ottobre 2008 si è di fatto congelato il processo, in attesa di ulteriori prove a carico da parte dell’Ufficio del Procuratore.


Valentina Cosimati
Liberal, 31 ottobre 2008


18 ottobre 2008

 

Darfur - CPI: L'ONU grazia il Sudan

Il Presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir per ora può stare tranquillo: non sarà ricercato dalle polizie del mondo per le presunte responsabilità nel genocidio del Darfur. Una decisione della Corte preliminare ha gelato le aspirazioni del Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale Luis Moreno-Ocampo, che il 14 luglio scorso aveva suscitato un certo interesse da parte della stampa internazionale annunciando in grande stile di aver richiesto un mandato di arresto per il presidente sudanese.

La Prima Camera Preliminare (Pre-Trial Chamber, grossolanamente assimilabile al giudice per le indagini preliminari, ndr) ha infatti deciso nei giorni scorsi di rimandare la questione al 17 novembre, chiedendo alla Procura ulteriore materiale a sostegno della richiesta per spiccare il mandato di cattura internazionale. Luis Moreno-Ocampo si è battuto strenuamente per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di un intervento in Darfur con tutti i mezzi a sua disposizione, tra cui la realizzazione e promozione del documentario prodotto dalla Warner Bros Independent Darfur Now! che ha coinvolto attori del calibro di Don Cheadle, Ted Braun e George Clooney e la cui proiezione al Palazzo di Vetro dell’ONU ha rischiato di causare un incidente diplomatico. La non decisione della Prima Camera Preliminare è un’azione un po’ ‘pilatesca’ da parte dei giudici, che hanno di fatto rimandato al mittente la spinosa questione del Darfur.

Andiamo con ordine. La Corte Penale Internazionale è un organismo indipendente a due ‘corpi’: la corte e l’Assemblea degli Stati Parte. La corte ha differenti organi - la Presidenza, la Cancelleria per la parte amministrativa, l’Ufficio del Procuratore per le indagini e per l’accusa in sede di giudizio, e tre ordini di camere giudicanti – i cui rappresentanti più eminenti vengono eletti dall’Assemblea degli Stati Parte, con l’eccezione della Presidenza, i cui membri vengono nominati dai giudici. L’Assemblea degli Stati Parte ha una struttura molto simile a quella dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è assolutamente democratica e ha potere decisionale su questioni vitali per la composizione della corte ma non ha voce in capitolo sullo svolgimento dell’attività giudiziaria.

Ne fanno parte, con uguale diritto di voto, i 108 stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma, ovvero tutti i paesi UE e del Commonwealth, la stragrande maggioranza dei paesi sud americani, un consistente gruppo di stati africani, alcuni stati asiatici, tra cui la Georgia. Grandi assenti tre dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU: Stati Uniti, Cina e Russia più Israele. In teoria le riunioni dell’Assemblea si dovrebbero tenere a L’Aja ma il prossimo meeting è previsto per gennaio a New York. E proprio dalla Grande Mela sembra essere partita questa corrente fredda che ha rimandato l’azione della Corte in Darfur, una delle grandi sfide di Luis Moreno-Ocampo. Il Consiglio di Sicurezza ha suggerito nel 2005 con apposita risoluzione e conseguente referral (comunicazione ufficiale, ndr) all’Ufficio del Procuratore, di portare avanti le indagini in Sudan per cercare di arginare la crisi umanitaria e fermare i presunti responsabili del genocidio in atto. Il Sudan non è uno stato parte, e pertanto non ricade nella giurisdizione della CPI, ma la referral del Consiglio di Sicurezza ha permesso di aggirare la questione dell’ammissibilità. Il Procuratore capo, ben felice di poter proseguire la sua battaglia, ha individuato dei potenziali colpevoli e ha presentato la richiesta di alcuni mandati di arresto alla Prima Camera preliminare, che non si può opporre alle decisioni del Consiglio di Sicurezza sull’inizio delle indagini ma può decidere se spiccare o meno un mandato di arresto. La richiesta più spinosa è arrivata a luglio di quest’anno: mettere sotto processo Omar Hassan al Bashir, ovvero il presidente di uno stato sovrano che non ha ratificato lo Statuto di Roma e non rientra pertanto nella sfera dei paesi che hanno volontariamente accettato la giurisdizione sovranazionale della Corte.

A Washington e a Mosca più di una persona si è accorta che si tratta di materiale esplosivo e va maneggiato con la dovuta cautela. Gli strumenti a disposizione sono molteplici, ma finora quello dello stand-by sembra il più gettonato, tanto che si paventa un possibile utilizzo dell’art. 16 dello Statuto di Roma, ovvero il veto da parte del Consiglio di Sicurezza al proseguimento delle indagini per 12 mesi rinnovabili per questioni relative alla minaccia alla pace mondiale (il Capitolo VII della Carta ONU). È bene ricordare che la Corte, al contrario dei tribunali internazionali (ex Jugoslavia e Rwanda), non è un organismo delle Nazioni Unite e la sua azione non dipende dal Consiglio di Sicurezza, ma anche che non è prevista l’opzione dello svolgimento dei processi in contumacia. Al momento l’Unione Africana e la Lega Araba sono contrari a che Luis Moreno-Ocampo prosegua le indagini e la Francia di Sarkozy sembra intenzionata a voler richiedere la sospensione. La Cina, la Russia e la Gran Bretagna potrebbero appoggiare la richiesta di art. 16 se verranno garantiti alcuni requisiti minimi, tra cui il raggiungimento di un accordo di pace duraturo, la possibilità per le forze ONU di operare liberamente in Darfur e mettere sotto processo i presunti colpevoli dei massacri. Le istanze all’interno della società statunitense affinché i responsabili del genocidio vengano messi sotto processo a L’Aja sono molte e ben sostenute da una solida rete di lobbies e ONG, ma non c’è ancora una presa di posizione netta e ufficiale da parte degli USA. Sebbene il presidente uscente George W. Bush abbia chiarito che i crimini in Darfur non possono continuare, ha anche puntato il dito, durante i lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sulla situazione in Ossezia del Sud, nella Georgia, stato parte della Corte Penale Internazionale. Per ora, insomma, il presidente sudanese non ha nulla da temere, soprattutto se fermerà le atrocità e consegnerà a L’Aja la persona considerata massima responsabile del genocidio e degli stupri di massa, Ahmad Muhammad Harun, attualmente ministro per i diritti umani del Sudan.

by Valentina Cosimati
published on Liberal del 18 ottobre 2008

photo credits:
1. International Criminal Court in Voorburg, The Hague
2. Refugees in Darfur
3. Luis Moreno-Ocampo AP Photo by Jerry Lampen
4. South Ossetia by AFP/Getty images
5. UN Security Council by Patrick Gruban

30 luglio 2008

 

ICTY Karadzic in Scheveningen

Holidays in The Netherlands.... Karadzic tranferred to The Hague today, will spend the summer on the beach, @ the ICTY prison in Scheveningen.

A friend won the bet on the date of his arrival, now Radovan Karadzic will have to face a long trial, the second act of the ICTY-Balkan SaGA.

Looking forward for the initial appearance. Most probably the trial will be in the same courtroom where Slobodan Milosevic defended himself till death.

Vacanze in Olanda... Karadzic trasferito a L'Aja oggi, trascorrerà l'estate sulla spiaggia, nella prigione di Scheveningen.

Un amico ha vinto la scommessa sulla data del suo arrivo, ora Radovan Karadzic dovrà affrontare un lungo processo, il secondo atto di questa SaGA Balcanica Tribunalesca

In trepidante attesa della comparizione in corte, molto probabilmente il processo si svolgerà nella stessa aula dove Slobodan Milosevic si è difeso fino alla morte

07 ottobre 2007

 

15 maggio 2005

 

Louise Arbour - Milosevic incriminato

Questo documento è stato elaborato da Rino Spampanato, editor e inventore del sito RadioRadicale.it, l'idea di 'valcos' è venuta a lui: c'era un'altra Valentina a Radio Radicale e si è inventato questo pseudonimo, ora ci sono affezionata.

Rino non c'è più, è morto in modo assurdo quando ero a L'Aja.

Valentina

L'Aia, 27 maggio 1999 - ore 14.00 (CET)
Documento audiovisivo della conferenza stampa del Procuratore Capo della Corte Internazionale per i Crimini di Guerra dell'Aia, durante la quale è stata annununciata l'incriminazione di Milosevic per crimini contro l'umanità in Kosovo: genocidio, deportazione e persecuzione nei confronti di civili.

La conferenza stampa in inglese

E' ufficiale, dunque: Slobodan Milosevic è stato incriminato per crimini contro l'umanità, con l'accusa di aver autorizzato una campagna militare contro i civili della provincia serba del Kosovo. Le accuse comprendono quelle di omicidi, deportazioni e persecuzioni di massa in violazione delle leggi e degli usi di guerra, compiuti dall'inizio del 1999 in Kosovo. Le altre persone incriminate sono Milan Milutinovic presidente della Serbia : Nikola Sainovic, Vice Primo Ministro Yugoslavo, Dragoljub Ojdanic, Capo di stato maggiore dell'esercito Yugoslavo, Vlajko Stojiljkovic, ministro degli interni della repubblica serba I mandati di arresto sono stati inviati a tutti i paesi membri dell'Onu che devono provvedere ad eseguirlo.Allo stesso tempo sono stati emessi ordini di congelamento di tutti i beni degli imputati, sempre a carico delle nazioni unite.

by Rino Spampanato
Roma, 27 maggio 1999
Pubblicato su RadioRadicale.it

14 maggio 2005

 

Balkans - Europe

Western Balkans are becoming the 'black hole' of Europe. We dream of a free and enlarged Europe, but if I look on the map, I can see two holes: one in Switzerland, looks a bit like a cheese hole, and the other one is constituted by the majority of the former Yugoslav countries and by Albania.

We still don't care about it.

I Balcani Occidentali stanno diventanto il 'buco nero' dell'Europa. Sogniamo un'Europa libera e allargata, ma se guardo la cartina, vedo due buchi: uno in Svizzera, somiglia un po' ad un buco di groviera, a l'altro è costituito dalla maggior parte degli stati dell'ex Jugoslavia e dall'Albania.

Continuiamo a non occuparcene.

 

Processo Milosevic Trial

Dal 12 febbraio al 2 dicembre 2002 ho seguito il processo a carico di Slobodan Milosevic per RadioRadicale.it

Ho smesso perché ho iniziato a lavorare nel Public Information Office della Corte Penale Internazionale de L'Aja, in Olanda... esperienze divertenti :) la prima: un processo storico e tanti amici cui voglio un mare di bene e la seconda... beh, diciamo, bella nella fase iniziale

I covered Milosevic Trial for RadioRadicale.it from the 12th to the 2nd of December, 2002.

I had to quit because I was hired by the International Criminal Court in The Hague, The Netherlands.... funny experiences :) the first one: an historical trial and lots of friends I really love, and the second.... well, let's say, exciting at the beginning...


The Birth of A Nation 1915, by D. W. Griffith
International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia - ICTY
International Criminal Court - ICC
My articles on RadioRadicale.it

06 settembre 2002

 

TPI: Un ex militare del VJ racconta gli orrori in Kosovo

Depone un ex militare che si autoaccusa: Ho massacrato civili e bruciato abitazioni. Il giudice May gli ricorda che non è necessario che fornisca una deposizione che possa incriminarlo

L'Aja, 6 settembre 2002 - Nell'udienza odierna del processo a carico di Slobodan Milosevic ha testimoniato un ex militare dell'esercito yugoslavo (VJ). Il teste, pur consapevole del rischio di essere a sua volta indagato e condannato, ha raccontato di aver preso parte alle operazioni militari in Kosovo, confessando di aver ucciso civili indifesi, incendiato abitazioni, aver chiesto soldi e aver rubato dai negozi.

K41 racconta gli orrori

Un ex soldato dell'esercito yugoslavo di stanza a Prizren ha deciso di raccontare gli orrori e i crimini che è stato costretto a commettere.
"Signor K41 - ha ammonito May - voglio assicurarmi che lei sia consapevole del fatto che non è obbligato a testimoniare se questa deposizione può in qualche modo divenire accusatoria per lei. Lei sta affermando di aver incendiato case e ucciso civili - ha spiegato il presidente della Terza Corte - non è necessario che prosegua la deposizione, può farlo ma non è obbligato"
"Voglio proseguire", ha affermato il teste chiarendo poi di "essere profondamente pentito" di quanto ha commesso. "Forse testimoniare qui può essere un modo per riuscire a vivere con gli incubi che mi perseguitano", ha affermato

Il teste ha raccontato come venivano attaccate le cittadine in Kosovo, fornendo alcuni esempi concreti di azioni cui ha partecipato egli stesso.

Il teste ha spiegato che le operazioni venivano condotte seguendo uno schema che si ripeteva ogni volta con minime variazioni. L'esercito circondava la località, per circa 20'-30' la cittadina veniva cannoneggiata con l'artiglieria pesante, a quel punto intervenivano le brigate che entravano nel paese, facevano irruzione nelle case, facevano uscire gli abitanti, incendiavano le abitazioni. Queste operazioni erano dette 'di ripulitura'. Per quanto riguarda gli abitanti, venivano fatti scappare dietro richiesta di denaro, venivano uccisi seduta stante oppure venivano costretti a riunirsi in un posto, spesso un cortile, dove venivano uccisi dai militari. Spesso le operazioni venivano condotte da polizia ed esercito congiuntamente.

"Un altro militare ha chiesto soldi ai kosovari, chi non li aveva è stato rimandato in un cortile, gli altri soldati sono andati via, è stato chiesto ai civili se vi era l'Uck e loro hanno detto che non c'era nessuno dell'Uck, dopodiché il sergente ha ordinato a me e agli 4-5 soldati con cui ero di sparare alle persone. Ero anch'io lì e anch'io ho sparato. La cosa che non potrò mai dimenticare è stato un bambino colpito con tre proiettili che urlava e gridava in modo incredibile, le persone continuavano a cadere uno sull'altro, morte. Poi siamo andati in un'altra casa e c'era un anziano che è stato ammazzato dal sergente. Alché abbiamo lasciato il posto, uno dei soldati ha detto che si vedevano le tende muoversi e immediatamente dopo la finestra della casa è stata rotta ed è stata lanciata dentro l'abitazione una granata, dopo non si è sentito più alcun rumore".
Questo un passaggio della deposizione.

Il controinterrogatorio

Durante il controinterrogatorio, Slobodan Milosevic ha cercato di screditare il teste che, a quanto affermato dalla difesa, è ricercato per stupro.
Secondo l'imputato il teste ha deciso di testimoniare per evitare la condanna in patria e ricevere protezione dal TPIY.

"Lei, signor Milosevic, come massimo comandante, avrebbe potuto venire laggiù - ha affermato K41 - a vedere che cosa significavano gli ordini vergognosi che impartiva, ma essere qui - ha proseguito il teste - a raccontare alla persona che ritengo essere il massimo responsabile" degli orrori "per me significa avere forse la possibilità di vivere con i miei incubi"

K41 ha raccontato inoltre di un episodio in cui un soldato serbo che si è rifiutato di uccidere un uomo anziano e disarmato. "Il sergente gli ha sparato e ha detto al soldato: 'ecco come si fa'"
Durante il controinterrogatorio Slobodan Milosevic ha chiesto al teste per quale motivo non abbia denunciato queste azioni ai suoi superiori
"A chi dovevo fare rapporto? a chi ci aveva dato gli ordini?", ha risposto l'ex militare.

by Valentina Cosimati
pubblicato su RadioRadicale.it
L'Aja, 6 settembre 2002

05 settembre 2002

 

TPI: Il giudice Robinson perplesso sul rapporto della Procura

Conclusa la discussione sul rapporto di Sir de la Billiere, ma il giudice Robinson esprime dubbi e perplessità. Depone Zoran Stijovic, dell'ufficio per le informazioni per la sicurezza di stato.

L'Aja, 5 settembre 2002 - Nell'udienza a carico di Sobdan Milosevic si è concluso l'esame del rapporto di sir de la Billiere sulla struttura militare di MUP e VJ durante il conflitto in Kosovo.

Zoran Stijovic, ex ufficiale del dipartimento per la Sicurezza di Stato, ha confermato che Rade Markovic ha dettato, letto, corretto e sottoscritto la dichiarazione che ha ritrattato in aula. Stijovic ha chiarito ulteriormente anche il mistero del caso 'Profondità 2'. Iniziata inoltre la deposizione di John Zdrilic, investigatore della Procura Onu

Conclusa la discussione del rapporto di sir de la Billiere

L'amicus curiae Micha Wladimiroff ha concluso l'esame del rapporto dell'OTP sulla struttura militare e di comando nella ex Yugoslavia durante il conflitto in Kosovo.
L'amicus curiae ha messo in luce le contraddizioni del rapporto, focalizzando il riesame sull'art. 136 della Costituzione citato nel rapporto e sulle fonti su cui la perizia è stata eleborata.

"Il fatto che la Regina Elisabetta sia capo di stato - ha chiesto Wladimiroff al perito - non implica che sia anche capo militare del Regno Unito, no?".

"L'esercito in ogni paese democratico - ha spiegato l'ufficiale britannico - non è un corpo indipendente dal governo. È uno strumento dei politici, un'estensione della politica".

Il giudice Patrick Lipton Robinson non è sembrato per nulla convinto, però delle spiegazioni dell'esperto della Procura
"Lei - ha affermato il giudice Robinson rivolgendosi al teste - trae delle conclusioni che non necessariamente sono applicabili alla Yugoslavia". "Quello che lei afferma - ha proseguito il giudice - è vero per molti degli eserciti occidentali e lei assume che la stessa cosa sia accaduta in Yugoslavia, ma non porta delle prove che dimostrino che fosse effettivamente così".
"Lei ha notato che l'esercito yugoslavo era particolarmente ben organizzato e sulla base di questo ha tratto le sue conclusioni, ma forse in una situazione di guerra, con l'attacco NATO alle porte non ha funzionato esattamente in questo modo"

Si dovrà attendere il 2004 e la sentenza a conclusione del processo, però, per sapere se la Corte avrà accettato, almeno parzialmente, le conclusioni del rapporto che indica Milosevic come capo supremo di esercito e forze armate, quindi la persona che era responsabile o nella condizione di sapere e di agire.

La deposizione di Zoran Stijovic

Zoran Stijovic, un ufficiale della RDB, la Sicurezza di Stato sotto il comando di Rade Markovic, ha chiarito che il fedelissimo di Milosevic ha dettato, corretto e sottoscritto la dichiarazione che ha poi ritrattato in aula il 26 luglio scorso.

Fonti non ufficiali affermano che il documento non è stato depositato dalla Procura come prova, per cui la deposizione di Stijovic servirebbe a screditare la credibilità del fedelissimo di Milosevic

E' iniziata inoltre la deposizione di John Zdrilic, investigatore della Procura Onu in Kosovo che proseguirà domani.

by Valentina Cosimati
pubblicato su RadioRadicale.it
L'Aja, 4 settembre 2002

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04 settembre 2002

 

TPI: Il rapporto dell'esperto militare della Procura accusa Milosevic


Golubovic conferma che l'ordine per l'insabbiamento dell'indagine su Profondità 2 è venuto dal ministro dell'Interno. Discusso il rapporto dell'OTP del perito militare Sir de la Billiere. Il TPIY commenta il rapporto della Repubblica Srpska.


L'Aja, 4 settembre 2002 - Nell'udienza odierna del processo a carico di Slobodan Milosevic Chaslav Golubovic ha confermato che l'ordine per l'insabbiamento delle indagini sul camion frigorifero pieno di cadaveri trovato nel Danubio arrivava direttamente da Belgrado.

È stato quindi discusso il rapporto della Procura sulla struttura militare nella ex Yugoslavia durante il regime Milosevic. L'esperto militare dell'OTP ha spiegato che è altamente probabile che le azioni militari fossero coordinate dall'alto a livello politico. Milosevic ribatte aserendo che il rapporto è stato elaborato solo sulla base dell'atto di accusa ed è basato su semplici supposizioni, ma non su conoscenza diretta
Si è svolta inoltre la consueta conferenza stampa del mercoledì

Golubovic: arrivava da Stojiljkovic l'ordine per l'insabbiamento dell'indagine su Profondità 2

Si è concluso il controinterrogatorio del colonnello Chaslav Golubovic sul caso del camion frigorifero pieno di cadaveri di kosovari ritrovato nel Danubio, a Tekija vicino Kladovo nell'aprile del 1999.

Chaslav Golubovic ha confermato che Vlastimir Djordjevic, allora capo del Dipartimento di sicurezza pubblica (RJB) del ministero degli interni (MUP) della Serbia, ha ordinato che il camion venisse rimosso e distrutto con esplosivo, i corpi portati altrove e che nessuno dovesse parlare con la stampa delle indagini in corso. Il caso fu dichiarato all'epoca 'segreto di stato'.

Il colonnello Golubovic ha sostenuto e confermato che gli ordini partivano direttamente da Vlajko Stojiljkovic, l'ex ministro dell'Interno che si è suicidato sulle scale di fronte al Parlamento lo scorso aprile. Il teste dell'accusa ha perlatro specificato che si è trattato di una situazione "non ordinaria", altrimenti non avrebbe "ricevuto indicazioni e interferenze" da Belgrado.

Il rapporto dell'esperto militare

È stato oggi discusso il rapporto elaborato dall'ex ufficiale britannico Peter de la Billiere per la Procura Onu sulla struttura militare di MUP e VJ, sulle modalità delle azioni militari in Kosovo e sulla funzione costituzionale del Presidente della Repubblica per la legge federale vigente durante il conflitto in Kosovo.

Sir de la Billiere ha chiarito che, stando alle informazioni in suo possesso e alla sua personale esperienza in campo militare (oltre 40 anni), le azioni documentate dalla Procura debbono essere state "pianificate e coordinate a livelli superiori di comando, seguendo delle precise indicazioni politiche".

Ecco perchè è stata un'operazione decisa a livello politico

"Data la quantità di civili che si suppone siano stati uccisi in 'operazioni militari' devo notare - ha affermato l'esperto - che per definizione non è possibile che vi sia un tale numero di civili uccisi nello stesso posto, perché le operazioni militari non includono i civili". "Se ciò accade - ha precisato - devo dire che è stata un'operazione coordinata, non si è trattato di un'operazione individuale di teste calde ma coordinata e decisa a livello politico"

Nel rapporto sir de la Billiere analizza la struttura militare, il tipo di azioni condotte, la Costituzione, i manuali in dotazione all'esercito e alla polizia.
Nello specifico, alle pagine 19 e 20 del rapporto, l'ufficiale britannico evidenzia che in base a quanto previsto dall'art. 136 della Costituzione il presidente della Repubblica Yugoslava (all'epoca dei fatti, Slobodan Milosevic, ndr) aveva il potere di "assumere, promuovere, e dimettere dal servizio, ufficiali dell'Esercito della Yugoslavia in base alla Legge Federale: ha il potere di assumere e dimettere il Presidente, i Giudici e i Delegati dei Tribunali Militari e delle Procure Militari".
Pertanto, secondo l'esperto della Procura Onu, "il Presidente della Yugoslavia era il supremo responsabile per la disciplina e le regole all'interno del VJ"

A conclusione del controinterrogatorio, incentrato sul tentativo di screditare la credibilità del rapporto, l'amicus curiae Misha Wladimiroff ha iniziato l'esame del teste e proseguirà domani. Slobodan Milosevic ha focalizzato il controinterrogatorio sulle fonti e sui dati utilizzati per la compilazione del rapporto

La conferenza stampa

Nella consueta conferenza stampa del mercoledì il portavoce del Tribunale Penale per la ex Yugoslavia ha commentato il rapporto della Commissione della Repubblica Srpska per la collaborazione con il TPIY sul massacro di Srebrenica.

Jim Landale ha affermato che la cifra di 2.000 vittime di cui si parla nel rapporto è "sproporzionata", ricordando la condanna di Radislav Krstic a 46 anni di detenzione.
"E' verità giudiziaria - ha aggiunto - che a Srebrenica siano state uccise molte persone, una cifra compresa tra le 7.000 e le 8.000 vittime. Questo - ha chiarito Landale - è quanto provato dal TPIY"

by Valentina Cosimati
pubblicato su RadioRadicale.it
L'Aja, 4 settembre 2002

02 settembre 2002

 

TPI: Milosevic, In Kosovo ho agito in difesa della popolazione

I testimoni parlano di famiglie massacrate, case incendiate, attacchi ai convogli di profughi e alla popolazione civile, ma Milosevic continua a sostenere che le milizie serbe stavano difendendo la popolazione

L'Aja, 2 settembre 2002 - Nell'udienza odierna del processo a carico di Slobodan Milosevic hanno deposto tre testimoni sopravvissuti al conflitto in Kosovo.

La famiglia di Behar Haxhiavdija è stata massacrata e la sua casa incendiata, Izet Krasniqi è sopravvissuto agli attacchi alla sua cittadina e al convoglio di profughi che lo ha portato nel campo Kukes, gestito dalla Comunità di Sant'Egidio, e Mehdi Gerguri ha perso il braccio destro a causa di un attacco da parte delle milizie serbe ad un convoglio di profughi.

Dal canto suo, Slobodan Milosevic continua a sostenere che le forze serbe stavano semplicemente svolgendo il proprio lavoro, ovvero stavano proteggendo la popolazione dagli attacchi 'terroristici' dell'Uck e dai bombardamenti NATO.

L'imputato (che si difende da solo) ha infatti affermato che le case sono state distrutte dalle bombe e non sono state incendiate.

L'ex uomo forte di Belgrado ha sostenuto poi che le forze serbe stavano cercando di evitare vittime tra i civili nelle aree in cui si potevano verificare scontri con l'Esercito di Liberazione del Kosovo e che, comunque, non sono state le forze serbe ad uccidere i kosovari, ma le bombe della NATO.

Milosevic non ha spiegato, però, secondo quale criterio sia necessario uccidere donne e bambini, sparare contro i convogli di profughi, distruggere documenti di identità e abitazioni per "difendere la popolazione civile".

Il sostituto procuratore Geoffrey Nice ha oggi specificato che il caso Kosovo dovrebbe concludersi all'inizio della prossima settimana. Dopo circa due settimane di interruzione si inizieranno a discutere poi i casi 'Croazia' e 'Bosnia Erzegovina', i più complessi e difficili da provare per la Procura ONU.

Carla Del Ponte ha affermato che forse chiederà un rinnovo del mandato per concludere il processo Milosevic. Sembrano quindi diradarsi le possibilità che possa essere a capo della Procura della Corte Penale Internazionale.

La deposizione di Behar Haxhiavdija

"Credevamo che se le forze serbe avessero attaccato gli uomini kosovari albanesi, avrebbero lasciato in pace donne e bambini. Abbiamo quindi pianificato un piano per scappare in caso di attacco".

Questo un passaggio della deposizione di Behar Haxhiavdija, un economista di Djakova che ha perso la moglie, le figlie di 8 e 4 anni, il figlio di 5 anni e altri 16 membri della sua famiglia 'allargata' durante l'attacco da parte delle milizie serbe nella notte tra il 1° e il 2 aprile 1999 a Djakova.

Oltre ad aver massacrato la sua famiglia, le milizie serbe hanno anche incediato la sua abitazione e quella di alcuni suoi vicini.

"È possibile che la sua casa sia stata distrutta da una bomba, visto che la NATO ha bombardato Djakova incessantemente a partire dal 24 marzo?", ha chiesto Slobodan Milosevic.

"No, perché una casa dei serbi era a pochissimi metri ed era completamente intatta, nemmeno una minuscola finestra rotta", ha risposto Behar Haxhiavdija specificando che "le prime e uniche bombe NATO sono cadute su una caserma dell'esercito".

Il teste ha inoltre fornito una lista di 20 persone uccise la stessa notte nella sua cittadina e ha spiegato la dinamica del massacro aiutandosi anche con una fotografia aerea della zona fornita dal FBI.

La deposizione di Izet Krasniqi

Izet Krasniqi è sopravvissuto agli attacchi da parte delle milizie serbe alla sua cittadina, Studime e Poshtme nella municipalità di Vushtrri, il 15 aprile 1999. È stato poi costretto ad unirsi ad un convoglio di profughi che è stato attaccato varie volte da militari e da paramilitari.

I rifugiati sono stati più volte picchiati, alcuni sono stati uccisi e le milizie serbe hanno chiesto loro in varie occasioni soldi dietro minaccia di morte. Prima di raggiungere l'Albania le milizie serbe hanno sequestrato tutti i documenti di identità.
Krasniqi è quindi riuscito ad arrivare in Albania, dove è stato assistito nel campo italiano Kukes, gestito dalla Comunità di Sant'Egidio.

Slobodan Milosevic ha cercato di dimostrare che le forze serbe stavano difendendo la popolazione, evacuando i civili da zone di combattimento tra esercito regolare e Uck. Ha inoltre sostenuto che i militari stavano aiutando i profughi a raggiungere l'Albania evitando che venissero bombardati dalla NATO

La deposizione di Mehdi Gerguri

Mehdi Gerguri, di Studime e Poshtme nella municipalità di Vushtrri, è stato costretto ad unirsi ad un convoglio di profughi dalle milizie serbe. Il teste ha raccontato dettagliatamente gli attacchi al convoglio da parte di forze regolari e paramilitari. Durante uno di questi attacchi Gerguri è stato ferito al braccio destro, rischiando un'emorragia. Dopo essere stato operato con mezzi di fortuna e senza anestetico ha perso il braccio destro.

La difesa ha proseguito nella linea scelta dall'inizio, la negazione dell'evidenza. Milosevic continua a sostenere infatti che tutte le violenze documentate da organizzazioni e istituzioni internazionali e confermate in aula dai sopravvissuti siano elementi della 'propaganda' in un 'intrigo internazionale' ordito dalle potenze occidentali contro di lui nel momento in cui gli equilibri geopolitici sono mutati e lui non è stato più utile agli Stati Uniti e all'Europa.

by Valentina Cosimati
pubblicato su RadioRadicale.it
L'Aja, 2 settembre 2002

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30 agosto 2002

 

TPI: Un ex detenuto racconta le torture subite a Dubrava

Un ex miliziano dell'Uck ha raccontato la sua odissea nelle carceri serbe durante il regime Milosevic, le torture subite, i processi e le indagini sommarie e ha chiarito ulteriormente il caso del bombardamento della prigione di Dubrava

L'Aja, 30 agosto 2002 - Nell'udienza odierna del processo a carico di Slobodan Milosevic Gani Bacaj, un ex miliziano dell'Uck ha raccontato le torture subite nelle varie caserme, stazioni di polizia e carceri in cui è stato detenuto 'in attesa di giudizio'. Ha quindi chiarito che nella prigione di Dubrava gli agenti serbi hanno causato una carneficina uccidendo oltre 150 prigionieri dopo che il bombardamento NATO aveva causato la morte di 23 persone. Il teste ha inoltre spiegato che le indagini e i processi venivano condotti in modo sommario.
Martin Pnishi, della municipalità di Djakova ha raccontato l'attacco da parte delle milizie serbe a Meja e le violenze subite. Ha deposto inoltre Sofije Imeraj, una ragazza di 21 anni che ha perso il padre e il fratello durante un attacco delle milizie serbe a Padalishte, nella municipalità di Skenderaj.

La deposizione di Gani Bacaj

Gani Bacaj, un ex miliziano dell'Uck, è stato arrestato nel 1998, è stato torturato da militari e agenti di polizia, detenuto in varie prigioni, tra cui quella di Dubrava, bombardata dalla NATO nel maggio del 1999.

"Il 2 settembre 1998 - ha raccontato Gani Bacaj - sono stato arrestato al confine tra l'Albania e il Montenegro dall'esercito yugoslavo. Ero con mia moglie e i miei figli, ci hanno portato in caserma" dove "sono stato interrogato in serbo sull'Uck da due uomini in abiti civili. Ho negato di essere un membro dell'Esercito di Liberazione del Kosovo".
"Dalle 10 di sera fino alle 6 della mattina successiva - ha proseguito - ho subito ogni tipo di maltrattamenti. Sono stato picchiato e mi hanno applicato dei fili elettrici sulle mani e sulle ginocchia. Mi hanno torturato - ha ricordato il teste - con scariche elettriche che duravano circa un minuto per 6 volte consecutive, due volte, a causa dell'intensità delle scariche elettriche, ho perso conoscenza".

Dopo l'interrogatorio Gani Bacaj è stato trasferito su un camion dell'esercito in Montenegro e poi nella prigione di Nis, in Serbia, dove "mi hanno tenuto - ha raccontato - per due giorni, o almeno credo che fossero due giorni perché non sapevo se fosse giorno o notte. Mi hanno preso a calci, picchiato con oggetti metallici e di legno, manganelli, qualunque cosa. Non mi hanno chiesto nulla, mi hanno solo picchiato".
Bacaj è stato quindi trasferito nelle stazioni di polizia di Djakova e di Peja, poi nel carcere di Peja e infine nella prigione di Dubrava.

"A Dubrava - ha spiegato - sono stato assegnato alla sezione 'C', quella dei detenuti che non avevano avuto un processo".
Le condizioni nella prigione per i detenuti 'in attesa di giudizio' erano disumane. "Nella sezione 'C1' - ha proseguito Bacaj - eravamo in 5 per ogni cella. C'erano anche 10 celle 'individuali'. Eravamo chiusi dentro per tutto il giorno e la notte, e solo una volta al giorno eravamo autorizzati ad uscire per camminare nel corridoio per due minuti".

Il 4 febbraio 1999 Gani Becaj, che all'epoca aveva 32-33 anni, è stato condannato come terrorista dalla Corte di Peja con un processo sommario. Dopo la condanna è stato trasferito in un altro braccio del carcere di Dubrava dove le condizioni erano decisamente migliori.
Mentre era detenuto a Dubrava la NATO è intervenuta militarmente in Kosovo e nel maggio del 1999 alcuni aerei hanno bombardato il carcere.

MILOSEVIC:"Sa che nessuno veniva portato a Dubrava senza che fosse stato processato prima? Ha mai incontrato un singolo prigioniero che sia stato detenuto senza essere stato preventivamente portato davanti ad una Corte?"
BACAJ: "Molti non erano 'detenuti'"
MILOSEVIC: "Intende dire che le indagini erano in corso"
BACAJ: "Sì"
MILOSEVIC: "E' vero che nel primo bombardamento la sezione della sicurezza è stata colpita?"
BACAJ: "Per quanto riguarda il primo non lo so perché ero all'interno"

Questo un estratto del controinterrogatorio del teste dell'accusa che ha peraltro chiarito di aver "visto cosa è successo: circa 160 detenuti sono stati uccisi" dagli agenti, e di aver "visto e contato le 23 persone uccise dal bombardamento NATO" con i suoi occhi.
Il teste ha risposto alle domande senza emozione, con lo sguardo fisso, tanto che il giudice Robinson gli ha chiesto se fosse stato "sempre così malinconico e triste" oppure se fosse "divenuto così recentemente"

La deposizione di Martin Pnishi

Martin Pnishi, un contadino di Meja nella municipalità di Djakova, ha raccontato che dopo l'uccisione di cinque agenti del MUP, le milizie serbe hanno circondato l'area con i carri armati, hanno dato alle fiamme le abitazioni, costretto gli abitanti a scappare e ucciso arbitrariamente civili.

La testimonianza di Sofije Imeraj

Il 26 marzo 1999, due giorni dopo l'inizio dei bombardamenti NATO, le milizie serbe sono entrate a Padalishte, nella municipalità di Skenderaj, costringendo i civili alla fuga e uccidendo uomini e ragazzi in età per il servizio militare, lasciando vivi donne, bambini e anziani.

Il padre e il fratello di Sofije Imeraj sono stati uccisi nel retro della sua abitazione da militari serbi. "Mio padre - ha raccontato la teste, che all'epoca aveva 18 anni - ha detto ad un militare: 'Smettila, siamo vicini di casa' e il soldato gli ha risposto: 'Non ci sono più vicini'"
I militari hanno costretto gli uomini e i ragazzi ad uscire dalle abitazioni e li hanno poi uccisi nei cortili e per la strada.


by Valentina Cosimati
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L'Aja, 30 agosto 2002

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29 agosto 2002

 

TPI: Chiarito il mistero di Dubrava. Emerge il ruolo della magistratura.


Un ex detenuto chiarisce il mistero del bombardamento nella prigione di Dubrava e racconta che la magistratura era uno strumento di Belgrado


L'Aja, 29 agosto 2002, Nell'udienza odierna del processo a carico di Slobodan Milosevic, accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l'umanità dal Tribunale Penale Internazionale per la ex Yugoslavia, il teste dell'accusa Milaim Cekaj ha raccontato cosa è accaduto nella prigione di Dubrava nel maggio del 1999. Il teste ha inoltre fornito una preziosa testimonianza per la comprensione del ruolo dei giudici durante il regime. Si tratta di un punto ancora poco chiaro ma fondamentale per collegare direttamente Milosevic ai massacri, ormai ampiamente provati dalla Procura Onu.
L'alto livello di corruzione dei giudici, le indagini portate avanti con metodi discutibili, i processi sommari nei confronti dei non-serbi mostrano infatti che la magistratura seguiva la politica di Belgrado, che non era quella di difendere i cittadini dal terrorismo - tesi sostenuta dalla difesa - ma mantenere una sanguinaria dittatura, come sta cercando di dimostrare l'accusa.

La deposizione di Milaim Cekaj

Milaim Cekaj è stato arrestato il 28 ottobre 1998 mentre stava raggiungendo la sua famiglia a Pristina. È stato portato nella caserma di Peja e lì è stato 'interrogato' per alcuni giorni da serbi in abiti civili fino a che non ha firmato una 'dichiarazione spontanea'.

"Quel giorno - ha raccontato il teste - mi hanno interrogato fino alle 8 di sera e sono poi tornato in cella. Alla fine dell'interrogatorio mi hanno dato un documento di 15 pagine da firmare. Era in serbo. Le mie mani erano ridotte talmente male [a causa dei maltrattamenti subiti nei giorni precedenti, ndr] che non riuscivo nemmeno a tenere la penna per firmare e quindi ho semplicemente siglato il documento con le mie iniziali. Ho immaginato - ha proseguito - che si trattasse di una confessione, a quel punto gli interrogatori sono cessati. Sono tornato nella cella con gli altri due prigionieri e sono rimasto lì per i successivi 84 giorni"

"Sono stato quindi portato - ha ricordato Cekaj - nella Corte di Peja, dove sono stato interrogato per circa mezz'ora dal giudice per le indagini preliminari, Milomir Lazovic. Ho chiesto che il mio avvocato fosse presente e l'udienza è stata rinviata di un giorno, con grande disappunto da parte del giudice. Mi hanno letto i capi di imputazione, non ero d'accordo anche perché mi accusavano di aver sparato a degli agenti di polizia e non era vero"
"Io - ha spiegato il teste - ero in possesso di un fucile e di una maglietta dell'Uck, mi hanno accusato di possedere delle bombe a mano, di essere un terrorista e di aver sparato a degli agenti"

Il teste è stato quindi condannato a tre anni di detenzione, scontati in parte nella prigione di Dubrava, dove erano detenuti molti kosovari di etnia albanese accusati di terrorismo.
Nella prigione è stato vittima di ulteriori sevizie ed è sopravvissuto al bombardamento del maggio 1999.

Cekaj chiarisce il mistero del bombardamento nella prigione di Dubrava

Il teste ha quindi ricordato che tra il 19 e il 21 maggio 1999 aerei da combattimento, con ogni probabilità della NATO, hanno bombardato il carcere. Alcuni prigionieri sono morti e gli edifici sono stati evidentemente danneggiati.
"La mattina del 22 maggio, intorno alle 6, ho sentito una voce proveniente dall'esterno che diceva in serbo: 'Sbrigatevi, gli autobus vi stanno aspettando per portarvi in un posto sicuro a Nish'".

I prigionieri sono stati quindi riuniti in una sezione del carcere, "gli agenti - ha raccontato Cekaj - ci hanno sparato addosso con bazooka e armi automatiche, ci hanno lanciato granate", in seguito gli agenti hanno cannoneggiato la recinzione esterna, hanno fatto esplodere bombe, uccidendo un gran numero di detenuti.
Nei giorni immediatamente successivi la giornalista della BBC ascoltata durante questa settimana al TPIY, Jacky Rowland, è stata invitata dalle autorità serbe a documentare i danni e la carneficina causata dai bombardamenti NATO.

I testimoni diretti delle violenze nella municipalità di Djakova

Durante l'udienza sono state inoltre ascoltate le deposizioni di Beqe Beqaj e Ismet Haxhia Vdija, della municipalità di Djakova che hanno raccontato che nei giorni immediatamente precedenti e successivi all'inizio dell'intervento NATO forze serbe hanno cannoneggiato le cittadine della municipalità, ucciso civili, incendiato le abitazioni, chiesto soldi ai civili dietro minaccia di morte e costretto gli abitanti a lasciare le proprie case.
Iniziata inoltre la deposizione di Martin Pnishi, che proseguirà domani

La magistratura

I giudici, stando a quanto sta emergendo nel corso del dibattimento, esigevano pagamenti 'extra' da parte dei familiari degli imputati. La polizia incarcerava in modo più o meno arbitrario persone, kosovari di etnia albanese, dietro l'accusa di terrorismo. Nelle stazioni di polizia i sospettati venivano picchiati ed erano soggetti ad ogni tipo di maltrattamento, in alcuni casi 'scomparivano' nelle stanze delle caserme, venivano poi costretti a firmare delle dichiarazioni senza avere la possibilità di leggerle. Queste dichiarazioni erano delle 'confessioni spontanee' che venivano utilizzate durante dei processi sommari. I sospetti venivano quindi condannati - punto ampiamente documentato da varie testimonianze - a pene spesso proporzionali alle somme pagate dai familiari ai giudici, e trasferiti in prigioni in cui erano soggetti a maltrattamenti e torture.

"Quando ho incontrato il giudice - ha raccontato oggi Cekaj - non si capiva nemmeno chi fosse la polizia, chi il giudice. Le mie ferite erano evidenti e quando ho incontrato il giudice non mi ha chiesto nulla, non si riuscivano a distinguere le funzioni degli uni e degli altri, poliziotti, giudice, le guardie del corpo, erano tutti insieme. Lei è un avvocato - ha quindi affermato il teste rivolgendosi direttamente all'imputato e lasciando intendere che la tortura non è il metodo più corretto - dovrebbe sapere in che modo si conduce un'indagine giudiziaria. Vogliamo fare un piccolo paragone tra come è trattato lei e come sono stato trattato io?".

by Valentina Cosimati
pubblicato su RadioRadicale.it
L'Aja, 29 agosto 2002

28 agosto 2002

 

TPI: Milosevic controinterroga la giornalista della BBC. Merovci di nuovo in aula


Milosevic controinterroga la giornalista di BBC. Torna in aula l'uomo 'ombra' di Rugova. La Corte rende noti i risultati del rapporto medico sulla salute di Milosevic. Nice annuncia che la Procura non chiederà la terza settimana. Proseguono intanto le testimonianze dirette dei sopravvissuti ai massacri in Kosovo. Rilasciato oggi uno dei comandanti di Omarska


L'Aja, 28 agosto 2002 - Nell'udienza odierna del processo a carico di Slobodan Milosevic l'imputato ha controinterrogato la giornalista della BBC Jacky Rowland che ha fronteggiato l'ex dittatore ribadendo che nella prigione di Dubrava i detenuti non sembravano morti a causa delle bombe NATO.
È tornato a testimoniare l'uomo 'ombra' di Ibrahim Rugova, Adman Merovci, che ha confermato di essere stato rapito e picchiato da agenti serbi poco prima della fuga del presidente kosovaro in Italia.
Il presidente della Terza Corte, Richard May, ha reso noti i risultati dell'ultimo rapporto medico sulla salute dell'ex uomo forte di Belgrado. "A causa della pressione alta dell'imputato - ha affermato May - il medico suggerisce un periodo di 4 giorni di riposo ogni 2 settimane di processo. Questa è una cosa che dobbiamo tenere in considerazione, e lo faremo nei termini in cui non inficierà il corretto svolgimento del processo".
Il sostituto procuratore Geoffrey Nice ha chiarito che l'accusa non intende usufruire della terza settimana suppletiva per concludere il caso Kosovo e il portavoce della Procura ci ha chiarito a margine della consueta conferenza stampa del mercoledì che "entro la prossima settimana si avrà la risposta definitiva" da parte del Cosiglio di Sicurezza sulla possibilità che l'ex presidente yugoslavo Zoran Lilic riceva la necessaria autorizzazione a deporre in aula.
Ha inoltre testimoniato Lirij Imeraj sopravvissuta per caso al massacro della sua famiglia da parte delle milizie serbe.
Questa mattina è stato rilasciato Milojica Kos ex comandante del campo di concentramento Omarska

Il controinterrogatorio di Jacky Rowland

La giornalista della BBC Jacky Rowland ha confermato durante il serratissimo controinterrogatorio che nella prigione di Dubrava la carneficina dei detenuti non è da attribuirsi ai bombardamenti NATO. Milosevic sostiene dall'inizio di essere stato vittima di una 'propaganda' organizzata dai governi occidentali con la collaborazione dei maggiori media, ma Rowland ha chiarito che "se anche vi fosse bisogno di dimostrarla, la BBC è talmente obiettiva da essere stata redarguita dal governo britannico per aver diffuso delle trasmissioni pro Belgrado"

"Il problema - ha comunque puntualizzato la giornalista britannica - non è che alcune persone siano state uccise dalle bombe NATO, il punto è che secondo me molti [nella prigione di Dubrava, ndr] non sono morti a causa delle bombe ma sono stati uccisi in modo diverso".
"Se la guardo ora, signor Milosevic, vedo che lei ha braccia, gambe ed un corpo intatto. Se - ha ipotizzato la teste dell'accusa - venisse colpito da una bomba, Dio non voglia, non sarebbe in queste condizioni e potrei capire di cosa è morto. Molti dei corpi erano decisamente interi"
"Sa che in caso di bombardamento le persone possono essere uccise da schegge?", ha incalzato Milosevic
"Sì - ha risposto la giornalista - ma sarebbero stati coperti da polvere". "Mi è dispiaciuto - ha aggiunto - di non essere un medico legale ma solamente una giornalista, sto riportando quello che ho potuto osservare come semplice civile"
"Non ha poi seguito gli sviluppi della faccenda?", ha chiesto la difesa
"Mi è stato difficile, visto che le autorità del suo governo - ha ricordato la teste rivolgendosi direttamente all'imputato - mi hanno espulso immediatamente dopo la corrispondenza in questione, in caso contrario sarei stata ben felice di continuare le indagini"

In merito alle indagini che sarebbero state condotte dalle autorità serbe, Jacky Rowland ha peraltro evidenziato che "probabilmente non sono state condotte in modo molto accurato", in quanto immediatamente dopo la carneficina le autorità di Belgrado hanno consentito a lei e ad una troupe di video-operatori di entrare nella prigione, con l'evidente rischio di inquinare le prove.

Merovci di nuovo in aula

Oggi si è conclusa la deposizione di Adnan Merovci, considerato l'uomo 'ombra' del presidente kosovaro Ibrahim Rugova. Merovci aveva fornito la sua deposizione il 23 e il 24 maggio scorso, e nell'udienza odierna ha ribadito ancora la sua versione sul 'mistero' della fuga di Rugova a Roma.

Secondo Belgrado Milosevic avrebbe salvato la vita del presidente kosovaro dai 'terroristi' dell'Esercito di Liberazione del Kosovo, aiutandolo a fuggire nella capitale italiana. L'imputato sostiene infatti che Rugova era stato minacciato dall'Uck e per questo ha deciso di aiutarlo.

In tale occasione si è verificato un altro curioso avvenimento. Poco prima di fuggire, Rugova e Merovci hanno affermato in diretta tv che "i profughi stavano fuggendo dai bombardamenti NATO". Merovci ha ribadito di essere stato rapito e picchiato dai serbi e quindi costretto a rilasciare tale dichiarazione.
"Per quale motivo, quando mi ha incontrato non mi ha detto che l'avevano maltrattata?", ha chiesto per l'ennesima volta l'ex presidente yugoslavo. Il teste dell'accusa aveva già chiarito di avere una "dignità", questa volta non ha fornito ulteriori chiarimenti, evitando di rispondere.

La deposizione di Lirij Imeraj

Lirij Imeraj, una donna di Padalishte nella municipalità di Istog è sopravvissuta per puro caso al massacro della sua famiglia da parte di suoi vicini di casa di etnia serba nel cortile di fronte alla sua abitazione.

"Chiaramente non sto negando che i membri della sua famiglia siano stati uccisi - ha affermato Slobodan Milosevic - ma è sicura che siano stati agenti serbi?"
"Sono sicura al 100%" - ha risposto la teste vestita a lutto. "Quelli che hanno ucciso i miei figli erano serbi, e posso dirlo - ha aggiunto - perché l'ho visto con i miei stessi occhi, erano tutte facce a me familiari, alcuni di loro venivano da Djakova, non ne ho sentito parlare, sono cose che ho visto con i miei occhi, e lei - ha affermato Lirij Imeraj rivolgendosi direttamente all'imputato - non lo può negare, posso dire di aver visto i serbi uccidere i miei bambini con i miei stessi occhi e di averli sentiti parlare, io stessa, non è un racconto che ho sentito da altri".

La conferenza stampa

Nella consueta conferenza stampa del mercoledì Jim Landale,portavoce del TPIY, ha confermato che Milojica Kos è stato rilasciato questa mattina "per aver scontato 2/3 della pena". Kos è stato condannato per crimini contro l'umanità e crimini di guerra in quanto uno dei comandanti del famigerato campo di concentramento Omarska. Il presidente del Tribunale, giudice Claude Jorda, ha deciso di accettare la richiesta di scarcerazione avanzata dalla difesa per 'buona condotta'.
La Corte d'Appello ha tenuto in considerazione "la volontà dell'imputato di reintegrarsi nella società, la sua determinazione a non commettere nuovamente i crimini di cui è accusato, le sue buone condizioni di salute fisica e mentale, il suo attaccamento alla famiglia e la possibilità per lui di trovare un impiego". Nonostante la sorpresa che tali motivazioni possono suscitare - soprattutto per quanto riguarda l'attaccamento alla famiglia, visto che si parla di un campo di concentramento - il presidente Jorda ha così ribadito che il TPIY è un tribunale equiparabile alle corti nazionali e che gli imputati vengono considerati alla stregua dei detenuti per reati meno eclatanti.

Sulla questione del giornalista del Washington Post Jonathan Randal che non intende testimoniare in aula, il portavoce del TPIY ha preferito non commentare, limitandosi ad affermare che il reporter rischia la prigione o una pena pecuniaria

by Valentina Cosimati
pubblicato su RadioRadicale.it
L'Aja, 26 agosto 2002

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27 agosto 2002

 

TPI: Il mistero del bombardamento della prigione di Dubrava


Un ex detenuto e la giornalista della BBC espulsa dalla ex Yugoslavia depongono sulla prigione di Dubrava. Scontro tra Nice e Milosevic per la testimonianza di Xhemajli sulla strage di Izbica

L'Aja, 27 agosto 2002 - Il mistero della prigione di Dubrava è stato al centro dell'udienza odierna del processo a carico di Slobodan Milosevic. Sul 'caso' sono stati ascoltati due testimoni dell'accusa, Musa Krasniqi e la giornalista della BBC Jacky Rowland.

L'arrivo della ex corrispondente da Belgrado della tv britannica ha destato non poche curiosità da parte dei media, che si sono peraltro interrogati sul ruolo del giornalismo di fronte alla giustizia internazionale, e un certo imbarazzo in aula.

Conclusa inoltre la deposizione di Sadik Xhemajli, ma il giudice May non ha consentito la proiezione integrale del video sul massacro di Izbica. Il sostituto procuratore Geoffrey Nice ha reagito con estrema diplomazia, puntualizzando però che "l'imputato nega addirittura che tali eventi abbiano mai avuto luogo".

Per quanto riguarda i ritmi del processo, la Procura sta prendendo tempo, dimostrando punto per punto l'atto d'accusa, ma non tenendo testa alle aspettative delle ultime febbrili settimane precedenti l'interruzione estiva.

L'accusa, insomma, continua a provare i crimini, ma non i collegamenti diretti tra tali atti e Slobodan Milosevic, né tantomeno è riuscita finora a delineare i confusi contorni della 'catena di comando' a Belgrado durante gli anni '90 e l'ex dittatore è innocente fino a prova del contrario.

La deposizione di Musa Krazniqi su Dubrava

"Sono stato incarcerato il 16 marzo 1999 in quanto membro dell'Uck. Sono stato giudicato colpevole di terrorismo - ha raccontato Musa Krasniqi - in quanto appartenente all'Uck e alla Lega Democratica, mi hanno condannato ad un anno di detenzione alla prigione di Dubrava".

"Il 25 marzo - ha proseguito Krasniqi - il giorno successivo [all'inizio dell'intervento NATO, ndr], l'atteggiamento dei carcerieri è cambiato, ci davano meno da mangiare e le condizioni nella prigione sono andate via via peggiorando".

Secondo quanto raccontato in aula da uno dei sopravvissuti alla carneficina, le milizie serbe hanno ucciso un numero imprecisato di detenuti nei giorni precedenti il 22 maggio 1999.

In base alla ricostruzione fornita da Krasniqi e confermata agli investigatori della Procura ONU da altri ex detenuti, le milizie serbe hanno circondato il carcere, lo hanno cannoneggiato, hanno lanciato granate dall'esterno del muro di cinta e hanno ucciso alcuni detenuti a colpi di arma da fuoco.

Le autorità di Belgrado hanno invece asserito che la Nato aveva bombardato il carcere, dando luogo ad una vera e propria carneficina.

Una giornalista della BBC in aula

Nel maggio del 1999 la giornalista Jacky Rowland si è recata a Dubrava con una troupe televisiva. Nella corrispondenza per la tv britannica aveva immediatamente denunciato che la ricostruzione ufficiale fornita da Belgrado sembrava poco rispondente a quanto aveva potuto osservare sul posto.

In particolare Rowland aveva notato che "molti detenuti indossavano abiti civili e che i danneggiamenti alla struttura carceraria non erano così gravi" come denunciato dalle autorità serbe.

La reporter ha visto anche 25 corpi fuori dall'edificio che "non sembravano essere morti all'interno della prigione, sembrava inoltre che i cadaveri fossero morti da più giorni in quanto erano già in stato di decomposizione".

Le autorità le hanno spiegato che "vi era stata un po' di confusione - prosegue il video della corrispondenza proiettato in aula - e che le guardie avevano rilasciato alcuni detenuti per 'ragioni umanitarie'". Il controinterrogatorio si svolgerà domani.

Scontro Nice e Milosevic durante il controinterrogatorio di Xhemajli

Nell'udienza si è inoltre concluso il controinterrogatorio di Sadik Xhemajli, che ha spiegato all'amicus curiae i motivi per i quali è costretto a portare gli occhiali con le lenti oscurate.

Kay ha particolarmente insistito su questo punto dato che Xhemajli è considerato un 'testimone oculare' e le ridotte capacità visive potrebbero invalidare in parte o in toto la deposizione dell'ex comandante dell'Uck che ha sostenuto di aver osservato con i propri occhi di notte, nascosto tra i boschi delle colline circostanti Izbica quanto stava accadendo nella cittadina.

La Procura ha quindi voluto mostrare un video con le immagini dei civili uccisi nella cittadina kosovara e la fossa comune in cui sono stati seppelliti dall'Uck.

"Non accetto le manipolazioni di questa Corte, si stanno danno per accertati crimini che non hanno avuto luogo". Così Slobodan Milosevic, che non ha perso la doppia occasione fornitagli dall'amplificatore mediatico della presenza di Jacky Rowland e dalla deposizione discutibile, e all'apparenza un po' surreale, di Sadik Xhemajli.

Il sostituto procuratore britannico Geoffrey Nice, però, non ha perso la calma facendo chiaramente capire alla Corte che la Procura si trova nella situazione di dover provare fatti ampiamente accertati, documentati e denunciati dalle più importanti istituzioni internazionali (OSCE e NATO), dai maggiori media internazionali, nonché da un gran numero di ONG e associazioni riconosciute a livello mondiale per l'imparzialità di giudizio e la precisione nella documentazione.

"L'imputato - ha evidenziato Nice rivolgendosi al presidente della Terza Corte - sta negando perfino che tali eventi siano avvenuti".

by Valentina Cosimati
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L'Aja, 27 agosto 2002

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26 agosto 2002

 

TPI: Riprende il processo Milosevic dopo l'interruzione estiva


Milosevic torna a scagliarsi contro il processo 'farsa' e i 'falsi testimoni'. La Procura forse utilizzerà anche la terza settimana prima di concludere il caso Kosovo. Nere le previsioni per la deposizione di Lilic.

L'Aja, 26 agosto 2002 - È ricominciato oggi al Tribunale Penale Internazionale per la ex Yugoslavia il processo a carico di Slobodan Milosevic dopo le quattro settimane di interruzione estiva.

L'ex uomo forte di Belgrado ha sostenuto con la solita verve polemica i controinterrogatori dei testimoni e ha protestato per la mancata scarcerazione preventiva.

Il giudice May ha chiesto un nuovo rapporto sullo stato di salute di Milosevic ed è sembrato poco propenso a lasciare tempo alla difesa per pronunciare comizi.

Il sostituto procuratore Geoffrey Nice ha chiarito che la Procura deve ancora ascoltare una trentina di testimoni, per questo in settimana sono previste almeno 16 deposizioni, ma con ogni probabilità l'OTP usufruirà della terza settimana suppletiva e Milosevic ha protestato nuovamente per le limitazioni temporali al controinterrogatorio, nonché per l'ammissione di deposizioni in forma scritta in base all'art. 92bis.

Per quanto riguarda Zoran Lilic Nice ha spiegato che "i negoziati sono ad un punto morto" e quindi probabilmente l'ex presidente yugoslavo non riceverà l'autorizzazione a deporre in aula dal Consiglio di Sicurezza guidato da Kostunica.

Senza tale autorizzazione Lilic potrebbe incorrere nell'accusa di alto tradimento nel suo paese per aver rivelato segreti di stato.

Sono poi state ascoltate le deposizioni di due testimoni appartenenti all'Uck che hanno assistito ai massacri di Kacanik e di Izbica.

Milosevic si scaglia contro la Corte Onu

Slobodan Milosevic non ha perso l'occasione della ripresa del processo, evento che scatena una maggiore attenzione mediatica, per scagliare i suoi anatemi contro la Corte Onu che lo sta giudicando per crimini contro l'umanità, genocidio, crimini di guerra.

Prima ha attaccato il TPIY come istituzione che non è in grado di giudicarlo e ha commentato in modo sprezzante la mancata decisione sulla richiesta di scarcerazione preventiva, in seguito ha sostenuto che le testimonianze sono 'false' e sono una costruzione dell'accusa. Infine si è decisamente opposto alla richiesta della Procura di ascoltare la deposizione dell'investigatore dell'OTP Kevin Curtis.

La deposizione di Muharren Dashi

Muharren Dashi ha assistito come 'osservatore' dell'Uck al massacro di oltre un centinaio di persone nella sua cittadina, Stagovo nella municipalità di Kacanik.

Le milizie serbe sono entrate nella cittadina, hanno iniziato a cannoneggiare le abitazioni, hanno separato gli uomini dalle donne e dai bambini, uccidendo arbitrariamente più di cento persone.

"Ero nelle colline intorno alla cittadina e da lì potevo osservare quanto accadeva - ha raccontato il teste dell'accusa durante il controinterrogatorio - e ho visto in modo più che chiaro quello che hanno fatto i serbi. Hanno iniziato a cannoneggiare la cittadina e gli abitanti sono stati costretti a lasciare le proprie abitazioni".

"Le forze serbe hanno separato gli uomini dalle donne e i bambini dai giovani - ha proseguito Dashi - Quando hanno diviso gli uomini, hanno insultato tutti, la NATO, Clinton, Thaci. Ho visto 39 persone uccise con i miei occhi, ci sono stati però anche altri due gruppi di una quindicina di persone che sono stati uccisi, ma non li ho potuti vedere".

"Uccidevano chiunque - ha ricordato il teste - una donna anziana non era in grado di muoversi e l'hanno bruciata viva sul posto, altre due persone anziane sono state bruciate vive su un trattore, due persone con le stampelle e una sulla sedia a rotelle sono state 'giustiziate'".

Dashi ha inoltre affermato durante l'interrogatorio da parte dell'amicus curiae Tapuskovic che "la grande maggioranza [dei miliziani dell'Uck della sua unità, ndr] non indossava uniformi".

La deposizione di Sadik Xhemajli

Sadik Xhemajli è un ex miliziano dell'Esercito di Liberazione del Kosovo e ha testimoniato su quanto avvenuto a Izbica, nella municipalità di Skenderaj.

"Ho abbracciato l'Uck dopo l'uccisione di Adem Jashari, nel marzo del 1998", ha specificato il teste dell'accusa che per problemi di vista si è presentato in aula con occhiali scuri.

Il 27 marzo del 1999, a tre giorni dall'inizio dei bombardamenti NATO, le milizie serbe sono entrate ad Izbica, dopo aver fatto confluire i civili nella cittadina. Le morti accertate sono 116, ma Milosevic ha sostenuto che "non vi è stato alcun massacro ad Izbica".

Il teste dell'accusa ha descritto nei particolari l'azione delle milizie serbe e le atrocità commesse dalle forze militari, specificando che nella zona vi era una forte presenza dell'Uck.

Unità dell'Esercito di Liberazione del Kosovo, proprio in quella zona, avevano catturato e ucciso alcuni agenti serbi; questo ha causato una reazione a dir poco sproporzionata sui civili kosovari da parte delle forze armate del regime Milosevic.

L'ex uomo forte di Belgrado ha chiaramente focalizzato il controinterrogatorio proprio sulla presenza dell'Uck e sulle azioni 'terroristiche' contro i militari serbi.

Nonostante la lunga interruzione estiva, Milosevic non ha quindi cambiato strategia e sta cercando ancora di dimostrare che le milizie serbe hanno condotto delle azioni di lotta al terrorismo islamico dell'Esercito di Liberazione del Kosovo. Per quanto riguarda i massacri, la difesa sostiene che non vi siano stati.

Domani l'accusa presenterà in aula un video in cui verranno mostrate le immagini del massacro di Izbica e la difesa potrà concludere il controinterrogatorio di Sadik Xhemajli.


by Valentina Cosimati
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L'Aja, 26 agosto 2002

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26 luglio 2002

 

TPI: Markovic tenta di ritrattare le dichiarazioni che incastrano Milosevic


Rade Markovic rimane fedele a Slobodan Milosevic ma May chiarisce che la Corte non prenderà in considerazione tutta la deposizione

L'Aja, 26 luglio 2002 - Nell'ultima udienza del processo a carico di Slobodan Milosevic prima dell'interruzione estiva si tirano le somme di un caso che si presentava relativamente semplice e che invece continua a dare del filo da torcere alla Procura Onu.

La fondamentale deposizione dell'ex fedelissimo Rade Markovic ha praticamente provato infatti le responsabilità individuali di Slobodan Milosevic per i massacri e le violenze perpetrate in Kosovo alla fine degli anni '90. Nel controinterrogatorio, però, Markovic ha negato persino di aver sostenuto quanto riportato nella deposizione da lui stesso firmata.

Nice ha inoltre affermato che quasi sicuramente la Procura non usufruirà della settimana aggiuntiva per il caso Kosovo in quanto probabilmente Lilic non testimonierà. Il Consiglio di Sicurezza controllato da Kostunica ha infatti fatto capire che non rilascerà le autorizzazioni necessarie e ha comunque chiesto che la deposizione sia in sessione a porte chiuse per proteggere i segreti di stato che possono essere rivelati durante la deposizione.

Il controinterrogatorio di Rade Markovic

L'ex capo dei servizi per la sicurezza di stato Radovan Markovic è rimasto fedele a Slobodan Milosevic e nel controinterrogatorio ha affermato che "nessuno ha mai ordinato l'espulsione degli albanesi dal Kosovo", che Milosevic ha cercato in tutti i modi di "proteggere la popolazione civile sia serba che albanese".

Radovan Markovic è attualmente detenuto a Belgrado perché a sua volta imputato di aver distrutto segreti di stato e di aver ordinato l'assassinio di dissidenti. È rimasto in carica per tre mesi dopo l'arresto di Milosevic e in quel periodo ha avuto pieno accesso agli archivi segreti per cui è ora piuttosto complicato trovare alcun documento che potrebbe collegare l'ex uomo forte di Belgrado ai massacri, alla pulizia etnica e alla distruzione sistematica di edifici civili e religiosi in Kosovo.

"Rade - ha chiesto Milosevic rivolgendosi al suo fedele collaboratore con tono amichevole - è vero che sei stato costretto a testimoniare contro di me dietro la minaccia di essere processato in questo Tribunale e che hanno offerto protezione a te alla tua famiglia se avessi testimoniato contro di me?"
"Sì", ha risposto il teste che ha continuato per tutta la durata del controinterrogatorio a sostenere le tesi del suo ex superiore.

Markovic ha affermato, tra l'altro, che i colpevoli delle atrocità commesse in Kosovo sono da ricercare in gruppi isolati di criminali e che le autorità competenti hanno fatto il possibile per incriminare e processare tali individui, tanto che vi sono centinaia di agenti di polizia e di militari indagati per tali atti.

MILOSEVIC: "Anche se non sei mai stato coinvolto con la politica, Radomar, sai che abbiamo cercato di trovare un accordo e che che abbiamo messo in salvo la vita di Rugova"
MARKOVIC: "Sì, la sua vita era in pericolo e noi lo abbiamo salvato"
Questo uno dei tanti passaggi del controinterrogatorio.

A udienza conclusa - a telecamere spente - i due si sono salutati di nuovo e Markovic ha cercato di alzarsi dalla sedia per stringere la mano all'ex presidente, le guardie gli hanno però impedito di avvicinarsi all'imputato, che ha espresso evidente soddisfazione all'amicus curiae Tapuskovic e ad un suo associato che siede di fronte a lui durante il processo, nello spazio riservato al pubblico. Gli avvocati che assistono Milosevic non sembrano però altrettanto soddisfatti soprattutto per le continue digressioni dell'ex uomo forte di Belgrado rispetto alla scaletta di domande che il consiglio di avvocati difensori gli prepara quotidianamente

La Corte è scettica

Il presidente May, intervenendo per impedire all'imputato di utilizzare ancora la Corte come un palco per "comizi politici", ha lasciato chiaramente intendere che i giudici non prenderanno in considerazione tutti i passaggi della "deposizione portata avanti in gran parte dal signor Milosevic". Il sostituto procuratore Geoffrey Nice ha evidenziato nel riesame dell'accusa la faziosità della testimonianza con il probabile obiettivo di invalidare il controinterrogatorio.
Nell'interrogatorio di ieri infatti il teste ha affermato alcuni punti importanti, tra cui il fatto che Milosevic era informato di quanto accadeva, e nella deposizione scritta sono evidenti i collegamenti tra l'ex uomo forte di Belgrado, il MUP e il VJ.

Spetterà alla Terza Corte decidere se prendere in considerazione la testimonianza in aula oppure la deposizione sottoscritta da Rade Markovic, ma il controinterrogatorio odierno ha messo in luce chiaramente che il teste non aveva alcuna intenzione di accusare Milosevic e che era a conoscenza del fatto che l'OTP non ha alcun documento che possa provare che l'ex uomo forte di Belgrado abbia ordinato i crimini commessi in Kosovo.
Gli ordini con ogni probabilità venivano infatti impartiti in forma orale e nell'atto d'accusa è specificato che Milosevic "esercitava de facto un esteso controllo su numerose istituzioni nominalmente sotto la competenza dell'Assemblea o del Governo della Repubblica Federale Yugoslava. Slobodan Milosevic - si legge ancora nell'atto d'accusa - controllava de facto anche funzioni e istituzioni nominalmente di competenza della Serbia e delle sue province autonome, inclusa la polizia serba"

Prima interruzione estiva

Le udienze sono comunque sospese fino al 26 agosto prossimo per l'interruzione estiva e il sostituto procuratore ha specificato che con ogni probabilità l'accusa non utilizzerà la settimana aggiuntiva che ha a disposizione per concludere il caso Kosovo.

L'ex presidente yugoslavo Zoran Lilic probabilmente non riceverà in tempi utili l'autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza guidato da Vojislav Kostunica, l'attuale presidente yugoslavo, a testimoniare. Senza tale autorizzazione Lilic rischia di essere indagato per rivelazione di segreti di stato e segreti militari in Yugoslavia e ha chiarito il 22 luglio scorso che non intende incorrere in tale rischio.

Il caso 'Kosovo' dovrebbe quindi concludersi la seconda settimana di settembre e la Procura proseguirà con la presentazione dei casi 'Bosnia Erzegovina' e 'Croazia' fino al maggio del prossimo anno.

by Valentina Cosimati
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L'Aja, 26 luglio 2002

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25 luglio 2002

 

TPI: Radovan Markovic, Milosevic sapeva tutto


Rade Markovic confessa: Milosevic era informato di quanto accadeva


L'Aja, 25 luglio 2002 - La penultima udienza del processo a carico di Slobodan Milosevic prima dell'interruzione estiva è stata densa di colpi di scena. Rade Markovic, ex capo dei servizi segreti, ha chiarito che Milosevic era a conoscenza di quanto accadeva in Kosovo. Domani si concluderà l'interrogatorio dell'accusa, ma con ogni probabilità il controinterrogatorio slitterà al 26 agosto, con non pochi problemi per l'amministrazione del Tribunale. Sembra quindi che l'OTP sia riuscita a convincere l'ex fedelissimo a raccontare alcuni dei segreti di cui è a conoscenza e che possono dimostrare senza ombra di ragionevole dubbio la colpevolezza di Milosevic.

Inoltre, Nice annuncia che la Procura concluderà la presentazione dei casi Bosnia Erzegovina e Croazia nel maggio 2003.
La Corte, dopo aver ricevuto i risultati della perizia medica richiesta dal presidente May dopo la seconda febbre da tre settimane dell'imputato, ha rinnovato l'invito all'ex presidente a farsi assistere da un consiglio di difesa in aula. Milosevic, che ha deciso di difendersi da solo in quanto non riconosce la legittimità della Corte ONU, ha infatti seri problemi cardio vascolari e il consiglio medico raccomanda un impegno minore nel processo. L'ex uomo forte di Belgrado, però, non vuole sentire ragioni e ribadisce: "Questo processo è una farsa".

Radovan Markovic afferma che Milosevic sapeva

A dispetto delle previsioni avanzate da tutti gli analisti del processo, Radovan Markovic ha deciso di 'parlare', mettendo in seria difficoltà Slobodan Milosevic.
"Vlajko Stojilkovic aveva il compito di informare quotidianamente Slobodan Milosevic sulle attività del Ministero degli Interni". Così l'ex capo dei servizi segreti, riferendosi all'ex ministro degli interni che si è suicidato a Belgrado sulla scalinata del Parlamento dopo la firma dell'accordo di cooperazione del governo con il TPIY.
Con questa frase Rade Markovic ha fornito all'accusa la prova mancante per dimostrare la colpevolezza di Slobodan Milosevic.

L'ufficio di Carla Del Ponte ha infatti finora dimostrato che i crimini di cui è imputato l'ex presidente yugoslavo sono stati effettivamente commessi da forze militari, di polizia e paramilitari che però formalmente non erano sotto il controllo di Slobodan Milosevic. L'accusa quindi era riuscita a dimostrare che sono stati commessi crimini di guerra, genocidio e crimini contro l'umanità in Kosovo, avanzando l'ipotesi che si trattasse di un 'episodio' all'interno di un disegno per una Grande Serbia, ma di fatto non aveva nulla in mano che dimostrasse i collegamenti diretti di Milosevic.

L'ex uomo forte di Belgrado è stato per molti anni considerato come 'l'uomo della pace', l'unico con cui le potenze occidentali potessero avere un dialogo diplomatico dopo la morte di Tito, e anche come l'unico in grado di controllare e gestire la difficile situazione nei Balcani. Tutti sanno quindi che non si decideva nulla senza l'approvazione di Milosevic, che formalmente però non ricopriva cariche che possono dimostrare il suo coinvolgimento diretto nei 'lavori sporchi'.

L'accusa quindi ha potuto dimostrare che i crimini sono stati commessi, ma anche con l'accesso agli archivi segreti (che non ha), non sarebbe riuscita a provare i collegamenti diretti dell'imputato con tali atti.
L'unica strada percorribile era la testimonianza di un 'interno' e dopo il suicidio di Stojilkovic e l'omicidio del vicecapo della pubblica sicurezza serba Bosko Buha, le previsioni non erano certamente rosee. Inoltre durante gli altri processi che si stanno celebrando al TPIY, quasi tutti gli imputati si sono dichiarati non colpevoli e non avrebbero testimoniato contro Milosevic.

Si dovrà ora aspettare il controinterrogatorio per verificare se effettivamente Markovic sarà il testimone chiave che dimostrerà la colpevolezza dell'imputato.

Corte: Milosevic rischia l'infarto, serve un avvocato

La Corte ha ricevuto i risultati degli esami medici richiesti dal giudice May dopo la seconda lunghissima influenza che ha costretto all'interruzione delle udienze. I medici raccomandano riposo, poche emozioni e un impegno inferiore nel processo.
"Siamo preoccupati per la sua salute - ha affermato il giudice Robinson - per questo le chiediamo di far assumere la sua difesa ad un consiglio di difesa"
"Non è nulla di personale, la stimo molto giudice Robinson - ha risposto Milosevic declinando l'offerta e rischiando per l'ennesima volta un'accusa per offesa alla Corte - ma questo processo è una farsa"

La Procura prevede tempi lunghi per Bosnia Erzegovina e Croazia

Il sostituto procuratore Geoffrey Nice ha presentato i casi Bosnia Erzegovina e Croazia e ha tracciato le prime conclusioni del caso Kosovo.
Nello specifico Nice ha chiesto fino a maggio 2003 per concludere l'intero processo, ha anticipato che con ogni probabilità la Procura utilizzerà anche la settimana aggiuntiva a settembre, vista l'ultima interruzione di due giorni, e ha annunciato che saranno chiamati molti testimoni eccellenti.


by Valentina Cosimati
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L'Aja, 25 luglio 2002

24 luglio 2002

 

TPI: Depone Radovan Markovic, l'uomo dei servizi segreti di Milosevic ed è scontro in aula


L'ex capo dei servizi segreti e di sicurezza di stato Radovan Markovic in aula saluta Milosevic, lasciando intendere che è rimasto fedele all'ex dittatore. Ma Nice 'sfida' Milosevic e la Corte Onu sembra trasformarsi in un set di Sergio Leone.


L'Aja, 24 luglio 2002 - Scene da Far West oggi al processo Milosevic. L'ex capo dei servizi per la sicurezza di stato Radovan Markovic è stato chiamato a testimoniare dalla Procura Onu per dimostrare i collegamenti diretti di Slobodan Milosevic con i crimini che ormai sono stati abbondantemente provati dall'ufficio di Carla Del Ponte. Il fedelissimo di Milosevic non sembra però avere intenzione di pronunciare anche una sola parola che possa danneggiare l'ex uomo forte di Belgrado. Il sostituto procuratore Nice ha però sfidato Milosevic con un documento che prova che i servizi segreti erano effettivamente sotto il diretto controllo dell'imputato
Conclusa la deposizione di Bosko Radojkovic sul camion frigorifero ritrovato nel Danubio e ascoltata la deposizione di Isufi Jemini, testimone diretto del massacro di Celina.
Si è svolta inoltre la consueta conferenza stampa del mercoledì.

Radovan Markovic in aula

Rade Markovic, fedelissimo di Milosevic è stato oggi interrogato dal sostituto procuratore Geoffrey Nice. L'ex capo della sicurezza di stato è entrato dalla porta degli imputati, in quanto attualmente sotto processo a Belgrado per distruzione di documenti coperti da segreto di stato e per aver ucciso o ordinato l'assassinio di alcuni collaboratori 'scomodi'.

Entrando in aula Markovic e Milosevic si sono salutati in modo quasi impercettibile, l'ex presidente ha guardato il suo fedelissimo che ha risposto con un cenno di assenso della testa.
Il sostituto procuratore ha avuto a disposizione circa 15 minuti per condurre l'interrogatorio che proseguirà domani, ma non è stato chiaro se Markovic intenda o meno raccontare in aula ciò di cui è a conoscenza, che servirebbe a dimostrare senza ombra di ragionevole dubbio le responsabilità individuali di Slobodan Milosevic.

Geoffrey Nice ha guardato con aria di sfida per tutta la durata del controinterrogatorio verso il banco degli imputati, che si trova esattamente di fronte a quello dell'accusa. Milosevic non ha smesso di sorridere in modo beffardo e ha mostrato alla stampa i documenti presentati dalla Procura con aria di scherno.

Con ogni probabilità - non vi sono dichiarazioni in merito da parte della Procura o del TPIY - vi è stato una sorta di 'patteggiamento' tra Procura Onu, avvocati di Radomir Markovic e autorità giudiziarie serbe per una eventuale riduzione della pena in caso di condanna a Belgrado o semplicemente per la mancata iscrizione nella lista degli indagati del TPIY dell'ex capo dei servizi segreti. Se Markovic parlerà il caso Kosovo sarà stato brillantemente concluso dalla Procura, altrimenti potrebbero cadere molti castelli di carta.

Oggi l'accusa ha inoltre prodotto un documento che prova che Slobodan Milosevic aveva il diretto controllo dei servizi segreti tra il 1997 e il 1998, quindi durante l'unico anno di pace del suo regime. I documenti in mano alla Procura non sembrano dunque sufficienti a dimostrare la colpevolezza dell'imputato, che è innocente fino a prova del contrario, e la deposizione di Radovan Markovic, noto anche come 'Rade' Markovic, potrebbe essere l'anello mancante.

Il controinterrogatorio di Bosko Radojkovic

Nell'udienza odierna si è consluso inoltre il controinterrogatorio di Bosko Radojkovic, che ha partecipato alle indagini sul camion frigorifero pieno di cadaveri ritrovato nel Danubio in seguito ad un incidente stradale. Il teste ha assistito personalmente alle operazioni di recupero del veicolo e ieri ha chiarito che sono stati recuperati 83 corpi 'interi' e 3 teste umane più altre parti di corpi umani.

Milosevic ha oggi cercato di dimostrare che le indagini sono state condotte in modo 'politico' per fornire elementi al TPIY per il suo arresto. La difesa ha infatti cercato di dimostrare che il taglio nel portellone del camion visibile in alcune fotografie non è visibile nelle altre e si tratterebbe quindi di una 'costruzione'. Il teste ha dimostrato che le fotografie hanno una sequenza logica e ha spiegato che le fotografie del veicolo completamente fuori dall'acqua sono state scattate dopo che il portellone era stato richiuso e i corpi parzialmente recuperati.

Bosko Radojkovic ha inoltre chiarito che "nel camion non vi erano uniformi dell'Uck".
"Signor Milosevic, c'erano almeno 20 persone con me e tutti possono confermare quanto sto dicendo", ha affermato il teste rivolgendosi direttamente all'imputato. Bosko Radojkovic ha inoltre asserito di sentirsi "in imbarazzo" a causa delle domande della difesa sulle fotografie: "Mi sento in imbarazzo - ha dichiato il teste rivolgendosi alla Corte - perché si possono richiedere senza problemi i negativi al Ministero dell'Interno".

Milosevic ha poi cercato di dimostrare che i cadaveri trovati nel camion erano di rifugiati che venivano portati oltre confine da gruppi criminali che si facevano pagare per trasportare i rifugiati che dovevano viaggiare in condizioni disumane.

La deposizione di Isuf Jemini

Ha testimoniato poi Isuf Jemini, sopravvissuto al massacro di Celine. Tra il 25 e il 27 marzo 1999, nei giorni immediatamente successivi all'inizio dei bombardamenti NATO, le milizie serbe hanno attaccato Celine (municipalità di Orahovac) entrando nel paese con i carri armati. Hanno separato gli uomini dalle donne, hanno chiesto marchi tedeschi alla popolazione dietro minaccia di morte, hanno bruciato abitazioni ed edifici pubblici e religiosi. Durante l'attacco sono stati uccise circa 20 persone della 'famiglia allargata' di Isuf Jemini.
Milosevic ha cercato di dimostrare che si è trattato di uno scontro armato con miliziani dell'Uck.

La conferenza stampa

Durante la consueta conferenza stampa del mercoledì il portavoce del TPIY, Jim Landale ha fornito nel dettaglio il calendario delle udienze, confermando l'interruzione tra il 26 luglio e il 26 agosto per il processo a carico di Slobodan Milosevic. Landale ha inoltre riferito che il presidente del tribunale, Claude Jorda, la capo procuratore, Carla Del Ponte, e il cancelliere, Hans Holthuis si sono recati a New York per discutere i nuovi passi per la collaborazione con le corti nazionali in particolare per i casi 'minori'.

Il sostituto procuratore Graham Blewitt ha invece commentato in modo piuttosto evasivo la notizia riportata sul Financial Times per la possibile elezione di Carla Del Ponte a capo della Procura dell'ICC - Corte Penale Internazionale.
"Carla Del Ponte non può essere nello stesso momento procuratore capo del TPIY, del Tribunale Onu per il Rwanda e dell'ICC. Nel caso ciò accadesse - ha specificato Blewitt - il Consiglio di Sicurezza dovrebbe designare un nuovo procuratore per TPIY e TPIR. Comunque la nomina del procuratore capo dovrà essere decisa dall'Assemblea degli Stati Membri"


by Valentina Cosimati
pubblicato su RadioRadicale.it
L'Aja, 24 luglio 2002

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