25 febbraio 2002

 

Milosevic: i testimoni sono falsi

Proseguono le testimonianze delle vittime dirette delle violenze da parte delle milizie serbe in Kosovo. Milosevic accusa: "I testimoni sono falsi, sono qui solo per intrappolarmi"
Ultimo aggiornamento: 25 febbraio 2002 h19.08 (CET)

Nella nona udienza della Norimberga dei Balcani proseguono le testimonianze delle vittime dirette delle violenze delle milizie serbe. Tutte le testimonianze concordano su tre punti: nei giorni immediatamente successivi ai bombardamenti Nato la polizia e l'esercito serbi bruciavano i villaggi uccidendo i civili, c'è stata una deportazione di massa di kosovari di etnia albanese, al confine con l'Albania la polizia ritirava i documenti dei profughi.
Milosevic accusa: "I testimoni sono falsi, sono stati chiamati per intrappolarmi"


Oggi si è conclusa la testimonianza del contadino kosovaro Halil Morina del villaggio di Landovice, iniziata giovedì pomeriggio. Morina ha raccontato che le milizie serbe hanno dato fuoco alle case del suo villaggio all'indomani dei bombardamenti Nato, per cui lui è stato costretto a scappare verso l'Albania insieme ad altri kosovari di etnia albanese dei villaggi vicini. Anche lui ha raccontato che alla frontiera la polizia serba ha ritirato i documenti dei profughi.

"Bruciavano le case e anche i corpi delle persone all'interno delle case" – ha affermato Morina, ricordando che sulla strada che conduceva al confine con l'Albania c'era "un convoglio di 2.5 Km con molti albanesi che erano stati evacuati, ma non a causa dei bombardamenti". Il testimone ha raccontato che "sono stati organizzati dei convogli di autobus" in seguito alle "minacce da parte dell'esercito serbo" di "liquidare tutti quanti"

Milosevic ha cercato di dimostrare che le milizie serbe stavano in realtà cercando dei militanti dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck), che erano legati, secondo l'ex dittatore, ai terroristi afghani ma il testimone ha risposto di non essere a conoscenza di "gruppi di addestramento per mujaheddin nella sua regione, legati ai dervishi"

"Ha mai sentito nulla rispetto alle uccisioni di civili da parte dell'Uck?" – ha chiesto Milosevic, "No – ha risposto il testimone - sono un contadino e non mi interesso di politica".

"Nel 1998 – ha incalzato la difesa - è stato ucciso un impiegato del Sup dall'Uck", "So che è scomparso – ha chiarito Morina - ma non so se lo abbiano ucciso e chi lo abbia fatto". A questo punto è intervenuto il presidente Richard May che ha troncato la lunga serie di domande dell'ex uomo forte dei Balcani, chiedendo vi fossero state "attività dell'Uck nel villaggio prima del 24 marzo". Il contadino ha spiegato che non era possibile "perché l'esercito era troppo vicino al villaggio"

Dopo un'altra serie di domande a cui il testimone ha risposto affermando di non essere a conoscenza dei fatti di cui gli si chiedeva conto, l'ex dittatore si è spazientito e ha dichiarato: "Il testimone si rifiuta di rispondere a qualunque domanda gli ponga, è un testimone falso" [ascolta la dichiarazione].
Ma il presidente May, che ha richiamato più volte l'ex capo di stato, lo ha definitivamente interrotto affermando: "Può presentare delle prove ma non continuare ad interrogare il teste su cose di cui dichiara di non essere a conoscenza"

La testimonianza del medico Berisha

Nel pomeriggio è quindi iniziato l'interrogatorio di Agon Berisha, medico kosovaro di etnia albanese. Il suo racconto, estremamente particolareggiato, oltre a ribadire che nei giorni immediatamente successivi al bombardamento Nato le milizie serbe hanno bruciato villaggi, costringendo migliaia di kosovari di etnia albanese alla fuga verso l'Albania dopo aver chiesto loro soldi in cambio della vita, ha messo in luce che le persone di etnia albanese erano costantemente minacciate dalle milizie serbe.

Le violenze della polizia

"Verso le 18.00 tre agenti di polizia armati sono arrivati nella mia casa, erano in gruppi di 3 ed entravano in tutte le case del vicinato". Questo uno dei passaggi del racconto del testimone oculare Agon Berisha.
"Sono entrati nella mia casa, calciando la porta. Ho visto dalla finestra quello che stavano facendo. Ho detto alla mia famiglia di non muoversi, e sono andato a parlare con loro in serbo. Gli ho detto: 'per cortesia, siamo tutti civili [non bruciate la casa]'. In altre case – ha proseguito - sono andati con le maschere ma non nella mia. Io non li ho riconosciuti, ma mio fratello ne ha riconosciuto uno".

Quindi "la polizia è entrata in casa. Ho chiesto agli agenti di polizia – ha spiegato - di entrare in casa e di parlare come esseri umani. Si sono calmati e sono entrati, hanno iniziato a parlare con mio fratello e hanno chiesto soldi. Eravamo preoccupati di fare la stessa fine di mio cugino, non ne avevamo più".
"Loro ci hanno avvertiti di non rimanere in casa altrimenti altri gruppi di poliziotti sarebbero venuti e ci avrebbero uccisi. Ci hanno detto di prendere la macchina e di andare verso l'Albania. Eravamo 11 persone della mia famiglia".

"Ho iniziato a guidare velocemente perché c'erano molti poliziotti", "dietro di me quasi tutti gli edifici e le case erano in fiamme" [ascolta la dichiarazione].
"Ho guidato fino alla casa di mio zio a Prizren", una cittadina vicina al confine albanese.

"Ho quindi deciso il 1° aprile di lasciare il Kosovo per l'Albania. Ho deciso di andare in Albania – ha raccontato Berisha - per molte ragioni: era molto pericoloso rimanere in Kosovo in quei giorni e la polizia andava casa per casa e le persone che non erano della città venivano deportate dalla polizia con tutta la famiglia verso l'Albania. Non volevo causare problemi a mio zio e così ho deciso di andare via"

Migliaia di profughi

"C'era una colonna di circa 6-7 km di veicoli per oltrepassare il confine – ha raccontato Agon Berisha, aggiungendo che "'erano moltissimi autobus e ogni mezzo di trasporto".

Anche il medico kosovaro ha testimoniato che alla frontiera la polizia ritirava i documenti dei profughi, senza restituirli.
Al confine la polizia ha ritirato tutti i documenti, anche quelli della macchina e "li ha messi in un contenitore in cui c'erano moltissimi documenti delle persone che avevano attraversato il confine prima di me" [ascolta la dichiarazione].

Nel controinterrogatorio, che proseguirà domani, Milosevic ha cercato di dimostrare che non vi erano discriminazioni nella ex-Jugoslavia per gli intellettuali di etnia albanese. Agon Berisha ha raccontato di non aver avuto particolari problemi durante il suo corso di studi, ma di non essere pagato per l'esercizio della sua professione "quanto mi spettava al contrario dei miei colleghi serbi"

by Valentina Cosimati
pubblicato su RadioRadicale.it
Roma, 25 febbraio 2002

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